Riportiamo questo interessante articolo di Chiara Palmerini, pubblicato sul numero sulla rivista Focus (Luglio 2018)
Secondo una ricerca, lo studio precoce della musica favorisce la capacità di elaborare i suoni, alla base delle abilità linguistiche.
Che imparare a suonare uno strumento “aiuti” lo sviluppo di alcune abilità cognitive, in particolare del linguaggio, è un’ipotesi sostenuta da diversi indizi. Come però la musica faciliti il funzionamento del cervello, è tutt’altro che semplice da capire, e soprattutto da dimostrare.
Suonare, leggere, andare all’asilo. Un gruppo di neuroscienziati dell’Università Normale di Pechino e del MIT di Boston ha provato a verificare gli effetti con un tipico studio controllato, che ha coinvolto 74 bambini cinesi di 4-5 anni, di lingua mandarina.
Il cinese mandarino è stato scelto anche perché è una lingua in cui l’intonazione, come nella musica, è essenziale: può modificare il senso o la categoria grammaticale di un termine. La parola ma, per esempio, significa “madre” se pronunciata con tono statico alto… oppure “cavallo” se pronunciata con tono discendente-ascendente.
Lo studio è stato organizzato assegnando i piccoli, a caso, a tre gruppi:
-il primo ha ricevuto lezioni di pianoforte tre volte la settimana per sei mesi;
-il secondo, per la stessa quantità di tempo, ha seguito i primi insegnamenti per imparare a leggere;
-il terzo ha frequentato l’asilo normalmente come i coetanei, seguendo la routine della scuola senza alcuna particolare attività aggiuntiva.
Suoni: il cervello li percepisce meglio. A sei mesi di distanza, sono stati osservati gli eventuali effetti, con test sul linguaggio, la memoria, il quoziente intellettivo.
L’effetto più pronunciato è risultato, come ci si aspettava, proprio quello sul linguaggio: rispetto ai bambini che non avevano seguito corsi di alcun tipo, quelli sottoposti a lezioni di piano e di lettura avevano una migliore capacità nei test di discriminazione tra parole.
I bambini che avevano fatto anche musica, però, erano notevolmente più bravi degli altri nei test in cui la discriminazione era basata solo sulle consonanti. Il monitoraggio dell’attività nella corteccia uditiva, in più, ha confermato che le risposte nel cervello ai toni del parlato e ai cambiamenti di tonalità della musica erano aumentate nei piccoli musicisti.
Benefici dimostrati e presunti. La musica e il linguaggio condividono molti aspetti dell’elaborazione dei suoni, per cui è probabile che le lezioni di musica si traducano in un vantaggio in questo senso, e lo studio sembra proprio dimostrare che migliorano sia la capacità di percepire i toni, sia quella di discriminare le parole.
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…il beneficio “limitato” sul linguaggio, – osservano gli autori dello studio – non è da poco. Soprattutto questi risultati forniscono indicazioni utili per la scuola e la didattica: dovendo scegliere le attività da privilegiare tra i bambini, la musica non è sicuramente tra le ultime. Non tanto per formare dei piccoli concertisti, ma proprio per favorire lo sviluppo del linguaggio o per migliorare disturbi come la dislessia, caratterizzata anche da difficoltà nell’elaborazione dei suoni.